martedì 30 novembre 2010

Gara di scrittura

Stasera ho deciso di aderire all’iniziativa di un bel blog gestito da un amico, e mi sono cimentato in una gara di scrittura. Vi riporto gli estremi e il regolamento perché la trovo una bella occasione per passare un’ora in sintonia con la propria fantasia.

Sito: http://pieroit.org/blog/incipit-gara-di-scrittura
Incipit:La pioggia continuava ad abbattersi sui vetri, tanto violenta che mi sembrava di sentirla sulla fronte. Mi infastidiva il suo giocare con la radio, invece di rispondere alla mia domanda. Prese fiato e si voltò finalmente verso di me.”
Lunghezza: 3.000 caratteri

Di seguito il mio mini-racconto.

* * *

La pioggia continuava ad abbattersi sui vetri, tanto violenta che mi sembrava di sentirla sulla fronte. Mi infastidiva il suo giocare con la radio, invece di rispondere alla mia domanda. Prese fiato e si voltò finalmente verso di me. Lo fece lentamente, padrone del tempo, sovrano di se'. Un sorriso, morbido. “Già, forse è proprio per questo che sono felice di essere nato ottant'anni fa. Tanto felice che le rughe non mi pesano, e l'inchiostro sul mio braccio ha smarrito l'odio con il quale fu scolpito. Per la radio.” Il confronto con quella sicurezza lineare, l'impatto impietoso con quella maschilità fiera ed essenziale mi graffiò dentro, dove nessuno può vedere, dove nessuno può afferrare. Ascoltai, in silenzio, seduto ad osservare quel meccanismo oliato dalla sua stessa semplicità. “La radio è poesia. Vedi, con le dita puoi danzare tra le frequenze, unirle, disegnare suoni nuovi, tuffarti nella polvere alla ricerca del sincronismo musicale perfetto. La radio è amica discreta, perché propone. La televisione no. La televisione impone. Ti violenta quando sei più stanco, quando sei più solo. Ti penetra con la sua avanzata lenta, inesorabile, nemica subdola, assassina ipnotica che inganna le tue difese sino a succhiarti la vita. La radio, invece, suggerisce. Sussurra idee, con educazione, sottovoce. Ti lascia lo spazio per fare, per essere, per creare. Ascoltando la radio ho costruito questa casa, tanti anni fa. Con queste mani. Erano gli anni del bianco e del nero (ed infatti, anche i miei ricordi sono in scala di grigio). Io costruivo, e nel frattempo tua nonna curava l'orto, filava le tende, faceva l'amore con me. Com'era bella, tua nonna, da giovane. Di lei conservo il colore dei ricordi. Di ogni sfumatura. Lei. Era. Luce. Ecco, voglio svelarti un segreto. L'amore. L'amore non lo puoi disegnare con i colori giusti. Non esistono, i colori giusti. Non importano, i capelli neri. I capelli biondi. Le mani grandi. La voce profonda. Gli occhi azzurri, gli occhi socchiusi, gli occhi intensi. Specchi dell'anima, di chi guarda. Non ci si innamora di queste cose. Le puoi inseguire, magari. E loro ti conducono, a briglie sciolte. Lontano, dall'amore. O forse, persino vicino: a briglie sciolte, appunto. Poi, l'amore. Un giorno, all'improvviso. Così. Posi gli occhi su di lei, su di lui. Percepisci la differenza. È sottile, ma cruciale. Ecco il segreto: la differenza sta nella luminosità. Improvvisamente gli altri sembrano sagome di cartapesta appoggiate su uno sfondo bidimensionale, comparse friabili tenute insieme dalla consuetudine grigia dei tempi che corrono. Lui, lei, invece, no: ne percepisci la natura, un po' più viva, un po' più vera. Senti il profumo di un'essenza diversa, ultraterrena, oro che abbaglia gli occhi di chi non può vedere, di chi non sa farlo. È la promessa di una fusione purpurea, l'illusione di un'inscindibile sincronia. Certe cose non bisogna deciderle, ed è controproducente pensarle. Succedono, ogni tanto. Non esistono, i colori giusti. Esiste la luce, che libera la fiamma, che accende la magia, che spinge il coraggio su di un piano inclinato, e rotola, rotola rotondo, fino ad accarezzare la morbidezza del tempo che scorre, abbracciandone i sussurri, respiri sottili e finalmente colorati”.

Alla prossima gara,
Francesco

martedì 23 novembre 2010

Lei (1)

 

“Non era semplicemente un'artista, non era infatti Lei a generare arte, ma era stata l'arte a generare Lei. Ogni cellula del suo corpo trasudava energia creativa, ogni suo gesto, ogni suo sorriso, ogni suo muscolo pareva vibrare il soffio di una musicalità ultraterrena. La sua voce era calda, rotonda, sapeva scavare dentro, era in grado di aggirare le barriere di chiunque - conosceva il passaggio segreto, conosceva la magia - e penetrava giù, più in fondo, oltre le maschere, oltre le etichette, più in fondo, in quella valle incantata dove siamo tutti un po' bambini e un po' bestie. Non aveva bisogno di fare arte per trasmettere emozioni. Ciononostante, amava dipingere. Amava giocare con i colori. Pensava che ogni singola tonalità di ogni singolo colore veicolasse qualcosa di diverso con se’: caldo, leggerezza, passione erotica, tensione, rabbia cieca, rabbia di velluto. Amava giocare appunto, perché per lei dipingere era un gioco, un gioco serio che le permetteva di trasmettere i contrasti che la alimentavano, che la costringeva a strappare con le sue unghie smaltate uno squarcio della propria anima, strappare e poi incollare, su tela, creare una nuova dimensione, dipingere una nuova emozione, comporla con tutte le proprie sfumature, osservarla domani, riviverla, rivivere e in un certo senso non morire mai.
Morire.
Questo la terrorizzava.
Questo era troppo per la sua sensibilità.
L'idea che un giorno tutto sarebbe finito le pareva così ingiusta, così fredda.
Non ci pensava, ma lo sapeva.
Rabbrividiva all'idea che le sue carni sarebbero invecchiate, e poi seccate, fino a diventare nulla.
Nulla.
Perché?
Silenzio.
Non ci pensava, appunto.

Mai.
Quasi, mai.”

Al prossimo passaggio segreto,
Francesco

venerdì 24 settembre 2010

Il Professore (4)

sangue1
“Avesse dovuto disegnare l'amore, renderlo immagine, il Professore lo avrebbe senz'altro raffigurato come una stanza degli specchi, un gioco di luci, ombre, impressioni sfumate, drappi di tela riflessi nel loro opposto, un continuo inseguire una sensazione onirica, espirando l'ombra lieve di una farfalla sino a sentire gli occhi chiudersi, sino a farsi avvolgere dal sorriso del proprio cuore...e...poi...sbattere, picchiare quel naso distratto contro uno specchio, sporcarlo di sangue, impattare contro se stessi.
Cadere.
E divertirsi un po' meno.”


Alla prossima stanza degli specchi,
Francesco

lunedì 6 settembre 2010

Il Professore (3)

salto

"La vita è una roba così. Succede. Non bisogna affezionarcisi troppo".

Alla prossima roba così,
Francesco

mercoledì 26 maggio 2010

Piano/Forte (cap. 2)


Piano/Forte - cap. 2

In questa immagine c’è tutto. 
Forza, eleganza, freddo, classe, precisione, ironia, armonia, morte, contrasto, vita, poesia, musica, delicatezza, natura, caldo, carisma, seduzione, tempo che scorre, tempo che ti congela, impermanenza, tensione, e pure un po’ di quel meraviglioso sentimento umano chiamato vaffanculo.

Al prossimo contrasto,
Francesco

venerdì 23 aprile 2010

Piano/Forte


Piano/Forte

Alle volte la velocità distrae. I pensieri si agitano, e rimbalzano, e corrono, corrono sempre più veloci, danzano vuoti della loro naturale sincronia, e disegnano, già, disegnano la propria fiera disarmonica, frammenti di vetro bagnati da piogge di biglie che rimbalzano suoni metallici.
Credo che nella vita molte volte per accelerare occorra rallentare.
Respirare.
Lentamente.
Ascoltarsi.
Dentro.
Affrontare quel buco nero, accompagnandosi - magari - ad una melodia. Ci sono canzoni che paiono tappeti volanti arrampicati su tessuti intrecciati di ricordi, emozioni, stronzate e debolezze. Troppo cerebrale per capire che. Ci sono canzoni che ti ammiccano, gatte maliziose che ti accompagnano lassù, per poi lasciarti tuffare in un oceano passato, un oceano fatto di onde calde, di pesci gialli, di luce blu. Mettiamoci dei pattini per scivolare meglio sopra l’odio. Ci sono canzoni che ti sussurrano parole lievi, violini di cuori oramai privi di spartito, quadri di un rosso oramai pastello. Potrei. Ma non voglio. Ci sono canzoni che ti guardano dritto negli occhi, proprio in mezzo a quei tuoi occhi spalancati, lava bollente che scivola sino al profondo del cuore. Ci si spalma sopra un bel giretto di parole. Vuote. Ma doppiate. Ci sono canzoni che ti entrano dentro, per non uscirne più, muse invisibili, amanti discrete, soffi di vita. Leggera leggera, si bagna la fiamma, rimane la cera, e.

Alla prossima fiera disarmonica,
Francesco

giovedì 15 aprile 2010

La primavera

Come sempre verificatosi sin dalla nascita di questo blog nel 2007 (click), anche quest’anno ai primi caldi di stagione si è rinnovato il mio consueto, personalissimo miracolo primaverile: mi è tornata voglia di scrivere.

Al prossimo miracolo,
Francesco

venerdì 16 ottobre 2009

Il Professore (2)

La ragnatela

“Con lui la vita era stata un po' bimba, un po' puttana. Dapprima lo aveva sedotto con i suoi sguardi, giocando a mostrargli il seno, donandogli il piacere lussurioso dei suoi caldi unguenti profumati. Ostriche e incenso. Poi un giorno, carezzandolo, aveva adagiato su quel giovane corpo nudo un sottile filo dorato, poi un altro, poi un altro, e quei giochi si andavano facendo meno ingenui, quelle carezze più ruvide, poi un altro, poi un altro, e quei fili sembravano tramutarsi, parevano meno splendenti, più pesanti, e stringevano, stringevano da far male, fredde lame taglienti, carne viva, carne vecchia, tela di ragno. Lasciarsi abbracciare dal silenzio, mantenersi immobile, farsi sottile  – pur restando solo, pur restando al freddo - sembrava essere l'unica via per nascondersi al dolore, per sopportarlo”.

Alla prossima ragnatela,
Francesco

martedì 13 ottobre 2009

Il Professore (1)

Iceberg

“Questo spaventava il Professore: accorgersi che la sua mente altro non era se non uno scuro mare profondo, una fredda voragine scoscesa in cui ogni sensazione, ogni ricordo, ogni esperienza inesorabilmente correva - timida - a rintanarsi, per riemergerne bagnata di un ritmo sincopato. Casualmente. Ecco, era proprio la fugace percezione di questa fottuta occasionalità che lo avrebbe condotto alla pazzia, se non si fosse, poco dopo, anch'essa tuffata, sparita per sempre, donna pudica, bambina capricciosa, stella cadente”.

Al prossimo iceberg,
Francesco

lunedì 5 ottobre 2009

Bastardi senza gloria

 Bastardi senza gloria

Di solito i racconti hanno una trama. Iniziano, continuavo, finiscono. Nascono e poi alla fine muoiono, dopo essersi raccontati, rivelati. Seguono pigramente una linea, camminano ordinati nella direzione che qualcuno ha voluto disegnare sulla mappa. Solo in rari casi i racconti paiono creature vive, animate di una forza propria, che corrono in tutte le direzioni contemporaneamente esplodendo la propria intensità e mostrando l’unicità dei propri modi fieri, di una complessità semplice che quasi pare irridere la normalità.
Credo non esistano storie più belle di altre. Sicuramente ci sono persone che sanno raccontarle meglio, tanto che il contenuto si sfuma e scivola sullo sfondo, quasi fosse un pretesto, un orpello non necessario, un qualcosa che poco importa rispetto al come viene narrata una storia, rispetto ai suoi protagonisti intrisi di una follia ordinaria e al tempo lucidamente delirante, priva di logicità ma così empaticamente condivisa.
Ci sono racconti, come ci sono vite, che sembrano zen - non è importante la meta, ma il viaggio - che sono diverse, perché pulsano di un'intensità tale per cui non esiste la normalità, ed anche i momenti di apparente banalità sbocciano tramutandosi in altro, un altro speciale, prezioso, non riproducibile. Ci sono racconti che non possono neppure immaginarsi riferiti, narrati se non da parte di chi questi ha prima creato e poi posseduto, potendo al più essere abbozzati, fotocopiati in bianco e nero, come quei tramonti che non possono essere fotografati, o come quelle emozioni che non sanno essere trasmesse.

Al prossimo bastardo,
Francesco